Questo post lo sto scrivendo mercoledì 17 dicembre, in pausa dopo una mattinata interessante. Ieri, martedì, e oggi ho sperimentato disagio. Ma positivo.
Finalmente.
Il disagio non è un nemico
La parte più difficile nel gestire un percorso di ristrutturazione della propria mente, della propria capacità cognitiva? Gestire il disagio.
Il disagio spesso, se non contestualizzato, lo presumiamo come sbagliato. Come problema. Come un “non va”.
In realtà il disagio è la parte migliore.
Perché il disagio è la parte migliore
Migliore? Sì.
Perché ci permette di comprendere che il cambio sta avvenendo. La nostra mente prova disagio perché si ritrova a gestire un evento in maniera diversa, migliore, ma al tempo stesso il passato, la componente radicata in noi, cerca di opporsi e scatena il disagio.
Il disagio dimostra che funziona. Dobbiamo continuare. Non sottovalutarlo ma neanche temerlo.
Le tre fasi del disagio
All’inizio sarà presente a 360 gradi. Poi pian piano scomparirà dalla mente e rimarrà prima nel corpo. Successivamente sarà un lontano ricordo. Non lo dimenticheremo ma non lo temeremo più e non sarà più lì a soggiogarci.
Fase 1: La mente (resistenza totale)
Il disagio è ovunque. Presente a 360 gradi. La mente grida: “Questo è sbagliato!” Ma non è sbagliato. È solo diverso. La componente radicata oppone resistenza perché il cambiamento richiede energia. Vecchi pattern neurali combattono i nuovi.
Fase 2: Il corpo (segnali fisici)
La mente inizia ad accettare. Il disagio scende nel corpo. Tachicardia. Occhio che pulsa. Tensione. Ma già meno pervasivo. Il sistema nervoso si adatta, ma manifesta lo stress attraverso sensazioni fisiche.
Fase 3: Il ricordo (lontano, non temuto)
Il disagio diventa lontano ricordo. Non dimenticato. Ma non temuto. Non più lì a soggiogarci. I nuovi pattern sono integrati. Il vecchio modo è solo memoria, non più minaccia.
Le tre fasi non sono invenzione mia. Neuroscienze (Porges, Doidge) e psicologia (Prochaska) mostrano stessa progressione. Mente, corpo, integrazione. Il cambiamento reale passa sempre da qui.
Come distinguere il disagio del cambiamento dal mero disagio
Ma come capiamo il disagio dovuto al cambiamento dal mero disagio?
Analizzando la situazione. Fermandoci un attimo. Inspirando ed espirando. Lasciando andare il nostro pensiero.
Il pensiero creerà connessioni, analizzerà percorsi e fornirà risposte. All’inizio difficili, senza ombra di dubbio. Ma pian piano saranno come quella nebbia che si trasforma in foschia fino a sparire.
Possiamo porci delle domande. Dirci se questa sensazione è dovuta all’evento che stiamo vivendo. Possiamo porci le domande se ci va bene gestirlo diversamente, ossia come avremmo fatto nel passato.
Poche e semplici domande. Esse poi ci daranno la risposta e con quella risposta capiremo i passi successivi.
Il cliente vampiro: metodo Wolf
Martedì. Un cliente chiede aiuto. Gratis, ovvio. Classico: “Ho bisogno, subito, facile per te.”
Serve approccio Wolf. Non Winston Wolf di Pulp Fiction per la pulizia (quello no), ma per il metodo. Calma, analisi, strategia, esecuzione. “I solve problems.”
Io, il mio socio e un top developer Gen Z che ho coinvolto apposta perché ha quella rapidità mentale che serve in queste situazioni facciamo mini analisi. Nel brevissimo tempo diciamo: questo è l’unico compromesso possibile.
Il cliente dava per ovvio che facessi tutto. Noi mostriamo analisi, compromesso, condizioni. Ripeto a lui: “Sii sicuro di quello che leggi e accetti.” Responsabilità sua.
Primo confine: in un caso rispondo fuori orario. Volutamente.
Secondo confine: nell’altro, anche se il mio passato avrebbe risposto immediatamente, mi oppongo. Disagio. Forte. Il giorno dopo, volutamente, non rispondo subito.
Lui ri-scrive. Dimostra interesse reale.
Terzo confine: rispondo e metto paletti. Non risolve ancora la licenza? Licenza necessaria a noi per settare. Do disponibilità telefonica alla sua amministrazione.
Furbizia: nel processo, risolvo anche situazione fattura altro lavoro in sospeso. E l’amministrazione diventa amica. Alleata futura.
Risultato: domani smarcano la licenza. Oggi alle 17 il mio socio (non io, volutamente, d’accordo con lui) insieme al top dev faranno la call e smarcheranno il tutto.
Difficile? Senza la ben che minima ombra di dubbio.
Fattibile? Assolutamente sì.
Disagio? Presente. Forte. Ma segnale che funzionava.
Ovviamente non dobbiamo far capire al cliente la strategia. Ma funziona. Per me, per il team, per il cliente stesso.
Ristrutturazione in corso
Personalmente il disagio mi sopravviene specialmente nell’ultimo periodo, più spesso. Ma c’è un motivo.
Il mio percorso, come vi dissi con l’esempio della casa, si sta spingendo avanti. Ogni singolo aspetto della mia vita si sta evolvendo. Il disagio emerge per questo motivo.
Su alcuni argomenti è già minore. Su altri siamo ancora all’inizio. In fondo la ristrutturazione non è finita. La cucina è completa. Il salotto e la camera da letto sono in corso.
Il mantra sbagliato
Nel lavoro ho iniziato a interpretare i segnali. Ogni giorno pongo un gradino nuovo e va meglio. Risultati validi per me, i collaboratori e anche i clienti.
Perché il mantra ‘il cliente ha sempre ragione’ non è vero. E sappiamo bene da dove dipende e perché.
Sinceramente sono felice. Non parlo di benessere, proprio felice. La situazione è in gestione e so di averla approcciata al meglio, ma non al meglio possibile. E questo mi pone sulla strada giusta per il futuro.
Rapporti umani e tempo esponenziale
Stessa cosa sta avvenendo nei rapporti umani di ogni livello e grado. Un passaggio utile che si compie giorno dopo giorno. E citando il tempo, anche con effetto esponenziale, non essendo qualcosa di fisico o biologico.
Il disagio non è un nemico. Non è nemmeno un amico, ovvio. Ma è un segnale. E come ogni segnale, dipende da noi l’esito. Da come lo interpretiamo.
Conclusione
Avrei voglia di scrivere altro. Di scrivere i miei soliti fiumi, aiutati come sempre dall’AI. A volte raccolti per paragrafi brevi, a volte per paragrafi densi. Densi come la voglia di mostrarvi le connessioni e condividere con voi tutto questo.
Avrei tanto piacere di chiacchierare. Con qualcuno che conosco avviene nella realtà ed è notevole. Con altri, nuovi? Non è plausibile ma non impossibile.
Se state attraversando un percorso simile, se il disagio vi sta dicendo qualcosa, scrivetemi. Trovate i canali nella sezione Contatti. Leggo sempre, rispondo quando posso con sostanza.
E chissà che nel 2026 non arrivi anche un podcast. Con la mia Amica (ex cliente, ora Amica, ma lavoriamo ancora), gli audio filosofici vanno alla grande. Parlarne in un podcast sarebbe interessante.
Il disagio non è un nemico. È un segnale che stai cambiando davvero.
E va bene così.